Pratiche Teatrali

Mi passi la scuola? Ti passo la scuola

Un rito di passaggio tra le generazioni

evento mi passi la scuola di una platea sulla nuvola
Foto di: Jacopo Niccoli

a cura di Beatrice Baruffini – Associazione Micro Macro

Cosa ricordano le bambine e i bambini della scuola? Cosa resta di questi 5 anni nella loro memoria? Quali particolari, quali parole, aneddoti, angoli riaffiorano? Cosa scelgono di lasciare in eredità a chi verrà dopo di loro?
Raccontare la scuola dopo l’ultimo anno di frequenza a chi per la prima volta varcherà le sue porte come momento di scambio, dove da una parte il racconto si fa testimonianza poetica dall’altra l’ascolto diviene atto di ricezione, per generare una relazione intima tra bambini e bambine di due età differenti.
In questi ultimi due anni sono mutate le condizioni di incontro e scambio tra bambini e bambine, sono venuti a mancare alcuni momenti fondamentali, snodi di passaggio importanti per la crescita e la cura dell’infanzia. Chi varca una soglia conclude una fase della vita ed entra in una nuova. Le soglie come passaggi, ritmano, articolano e raccontano proprio lo spazio e il tempo, rendono possibile una profonda esperienza dell’ordine (Byung-Chul Han, La scomparsa dei riti). Abbiamo dato vita, come artisti, a questo progetto, pensando a ciò che a questa generazione di bambini e bambine è venuto a mancare: un rito importante che consumiamo da tempo e che da tempo serve per rafforzare le radici della nostra comunità.

MI PASSI LA SCUOLA?
È un laboratorio della durata di 6 giorni per bambini e bambini dell’ultimo anno della scuola primaria. Nel percorso si raccolgono narrazioni e racconti personali attraverso una pratica teatrale, fatta di improvvisazioni, scrittura scenica, esercizi corali. Queste parole daranno vita a brevi monologhi per l’azione performativa Ti passo la scuola.

TI PASSO LA SCUOLA
L’azione performativa si svolge in un’insolita scuola (un prato, un giardino, una piazza): i bambini e le bambine che hanno svolto il percorso della prima parte, siedono nei banchi scolastici e di fronte a loro vanno a sedersi, a rotazione, i bambini e le bambine dell’ultimo anno della scuola dell’infanzia, pubblico cui è dedicata questa performance. I giovani performer ripetono il monologo tante volte quante il posto dello spettatore viene occupato. I racconti sono differenti, e sono agiti con piccoli oggetti sul banco. Come i giri di giostra, il pubblico sceglie chi ascoltare: la durata della performance dà comunque la possibilità di ascoltare tutti i racconti. L’azione è un lungo rito collettivo che si compone anche davanti agli occhi degli adulti: per loro poche sedie per assistere al rito intimo di passaggio tra bambini e bambine di due età differenti.

“Con chi giochi?” è una domanda che ti devi fare prima dell’intervallo lungo, quello del dopo mensa. Così ti organizzi. Mentre la maestra spiega tu pensi a che gioco fare: ce l’hai, zombie, calcio, la battaglia, It.
Sempre che la maestra non stia spiegando qualcosa di interessante. Il che succede abbastanza spesso.
Gli antichi romani che hanno conquistato mezzo mondo conosciuto. L’apparato circolatorio. Come si mangia a tavola. Anche se il cibo della mensa fa schifo ci insegnano come nutrirci correttamente. La maestra del gusto viene tre volte all’anno. Le altre sono sempre state con noi. Fin dall’inizio.
Da quando per me le parole erano geroglifici che non si capivano niente.
S-a-s-s-o-l-i-n-i. Ci mettevo più di un minuto a leggere una parola.
E a scriverla capitava di dimenticare una lettera. Questa qui. Sasolini. Che non vuol dire niente ed è sbagliato.
Per fortuna. Dalla prima alla quinta si fanno più di dieci milioni di errori. Piccoli, grandi, grandissimi. Alcuni fanno perfino piangere. Sbagliano tutti, Cesare, Matteo, Chiara, perfino la maestra. Sbagliando si impara dicono tutti da una vita per tirarti su il morale quando fai un errore. Si sbagliano lettere, numeri, verifiche, risposte, compiti in classe e compiti a casa.
Si sbaglia fin dal primo giorno di scuola. Come Cloé che è entrata in un’altra classe.
(Luis, 10 anni)

Questa è Caterina. Quella che una volta mi ha scritto che non mi ama perché sono brutto. Così le ho dichiarato guerra. A scuola puoi ferire qualcuno se vuoi anche se io mi sono rotto un’unghia da solo. Stavo facendo una battaglia con i miei compagni di classe e scappavo perché ero il ladro che si trasformava in Hulk, loro mi inseguivano, morivano e resuscitavano, e mi inseguivano ancora. Allora ho aperto la porta del bagno per nascondermi, ma era già occupato, così nel richiuderla il dito dentro. Sanguinava.
La più grande ferita che io ricordi. Ho perso l’unghia dopo qualche giorno.
Non è stata l’unica cosa che ho perso per colpa della scuola.
Ho perso anche l’acca parecchie volte. Forse è colpa del fatto che quando ti insegnano l’alfabeto le altre lettere sono piene di animali e lei, niente.
(Niccolò, 10 anni)

La maestra non piange mai. Anche se è sempre indietro col programma.
Penso soprattutto quando fa storia che ci fa stare nel passato tante ore di fila. Poi va a finire che non capiamo più il futuro. Soprattutto quello anteriore. Che è un tempo che si usa solo a scuola, nella vita non lo si usa mai. È il futuro più avanti di tutti.
Io sarò andato al Luna Park. Ma a che cavolo serve? Chi è stato quel genio che ha inventato il futuro anteriore?
(Giulia, 10 anni)