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I bambini sono persone molto serie

Maestri veri, sempre, sono i bambini. I bambini non ancora adultizzati, non ancora rincretiniti dal vendergli roba. Il bambino ha lassoluto in sé, lassoluto è il gioco, cioè il teatro. Il gioco è dio, dio è gioco. Dio non è quello normativo che detta le tavole della legge, è il grande gioco delluniverso. Il bambino è il suo sacerdote, fino a che non viene rovinato dalla scuola, dal mestiere. Però, siccome i bambini nascono sempre, il gioco si rimette sempre in gioco. E il fanciullino? NO! Il bambino è un essere feroce, tremendo, ma è lassoluto gioco, lassoluto in sé diverso, è maestro perché non lo dice mai io sono maestro”. Lui, è lunico maestro che io riconosca.

Giuliano Scabia  “I bambini unici maestri”

 

Racconto con personali divagazioni il progetto, a cura di Beatrice Baruffini, dal titolo  MI PASSI LA SCUOLA?/TI PASSO LA SCUOLA! che ha concluso Insolito Festival 2021.

Un percorso, suddiviso in due parti ben distinte, che avevamo promosso nelle scuole nel mese di maggio/giugno prima della fine dell’anno scolastico e poi realizzato tra l’1 e l’11 settembre 2021.

1-2-3-6-7-8 settembre 2021 – Scuola Sanvitale, Parma

Ho sostato più a lungo del previsto in quelle aule scolastiche un pò sottosopra – erano i primi giorni di settembre quando la scuola è ancora chiusa ma si prepara ad aprire le porte per i nuovi arrivi. Ero fortemente attratta dal lavoro che Beatrice aveva iniziato con un gruppo di sei bambini (tre bimbe e tre bimbi) destinato alla creazione di brevi monologhi da raccontare ad un pubblico pochi giorni dopo. Ho partecipato a quasi tutti gli incontri, con ammirata discrezione e un quaderno in mano.

Fin dalla prima mezz’ora di laboratorio sono rimasta folgorata dalla potenza di quello che si stava creando in uno spazio quasi anonimo, disadorno, ma molto evocativo. Dopo un lungo e studiato lavoro di improvvisazione, di forte impatto fisico e sonoro, l’aula si stava riscaldando. Dalle finestre aperte affacciate ad un cortile interno uscivano parole senza un senso apparente. Qualcosa stava irrompendo nella quotidianità di una normale mattina di settembre.

I bambini stupiti, forse un po’ spaventati ma anche divertiti, si facevano condurre da Beatrice in un gioco per loro nuovo e inaspettato. Perché era serio, molto serio. Beatrice continuava  a riportarli nel gioco con questo incitamento: Bambini abbiamo bisogno di voi. Una frase detta da voi può sfondare la finestra. Abbiamo bisogno delle vostre parole importanti.

Il laboratorio si sviluppava sempre di più per i bambini e le bambine come un esercizio costante alla ricerca delle parole giuste per raccontare ognuno la propria esperienza.

Dopo il primo energico impatto, l’atmosfera si fa più rilassata e aperta: ci si arriva a conoscere.

I nomi, le alleanze, i sorrisi, i balbettamenti, le prove di coraggio, le espressioni di timidezza: il gruppo si sta componendo. Beatrice ha già cambiato registro, è pronta ad accogliere i racconti, ma lo fa con dolcezza e divertito rigore. Ed ecco che, in un pugno di giorni, arrivano ricordi, immagini, stati d’animo su una cosa preziosa che i bambini e le bambine stanno per lasciare: i cinque anni della loro prima vera scuola, la primaria. Lo dice il nome stesso, la base su ci si forma in pienezza, quell’arco lungo dove si fanno le prime scoperte e conoscenze.

Alle parole sono seguiti gli oggetti. Beatrice aveva chiesto al gruppo di portare da casa il loro ultimo astuccio. Il rito di aprire il proprio astuccio e descrivere minuziosamente il contenuto era qualcosa di sacrale ma anche ridicolo. Gli oggetti erano vivi, stavano iniziando a dare forma ai racconti personali.  Gli oggetti aiutavano a comporre i gesti, le prime azioni. Erano una griglia narrativa che, liberati dalla loro custodia, si divertivano a diventare altro e si caricavano di una nuova affettività.

Questo progetto è nato esattamente nel 2020 a seguito del primo lungo e inaspettato lockdown e non a caso. La scuola era chiusa, le relazioni avvenivano solo virtualmente come gli apprendimenti e i giochi. Una vita parallela incorporea che stava seriamente minacciando il germe dell’esperienza. Per i bambini poi ancora di più, poiché la scuola è il più importante campo dell’esperienza. Come dice Calamandrei: La scuola è un’incubatrice di destini. Questi destini stavano per cambiare rotta verso una destinazione ignota.

Ecco perché questo progetto ha avuto la forza e l’intuizione di tenere in vita, attraverso i racconti, questi momenti che la pandemia aveva interrotto: raccogliere in piccole perle rare gli anni più belli e tosti della formazione che definisce in modo molto netto il nostro ruolo di passanti nella vita.

Passanti che si preparano a lasciare una porta per entrare in un’altra, passanti/bambini/e in procinto di diventare adolescenti, invitati a fissare in racconti liberi, poi trasformati in piccoli camei poetici, i loro cinque anni di vita scolastica con l’intenzione di trasmetterli a quei bambini e bambini che quell’esperienza stanno per iniziare.

9-10-11 settembre 2021 – Scuola Ulisse Adorni, Parma

La stessa paura e stupore che ho visto negli occhi dei bimbi e delle bimbe il primo giorno del laboratorio, l’ho rivista in quella dei piccoli spettatori di cinque anni, invitati speciali all’azione teatrale che ricreava una sorta di aula scolastica all’aperto, ancora più disadorna del luogo degli incontri precedenti. Il piccolo spettatore era seduto esattamente di fronte a chi gli stava dedicando un racconto. Noi adulti intorno, seduti o in piedi, a cogliere i monologhi da punti di vista diversi.

Ho riscontrato, fin da subito, che questo passaggio tra generazioni nei bambini è più naturale, lo fanno sul serio, con convinzione. Chi rimane di stucco dalle parole, dalle posture, dalla serietà e naturalezza estrema di questi piccoli attori siamo noi adulti. Quello che si crea, in questa insolita e capovolta relazione – bambini che recitano per i più piccoli e nello stesso tempo, specularmente, per gli adulti – crea uno spaesamento totale: passanti che diventano seri e accurati testimoni di un pezzo di vita fondamentale per lasciare in eredità qualcosa a chi deve ancora arrivare lì, in quel pezzo di vita. Noi adulti l’abbiamo vissuta molto tempo fa questa esperienza e ora riaffiora con un colore, una spazialità, una sensualità che fa parte del nostro pensiero emotivo e richiama sempre in vita qualcosa, forse di perduto o lontano.

Personalmente continuo ad imparare molto da questi esercizi di poetica teatrale perché sono lavori che permettono di creare un immaginario totalmente radicale, uno scavo ma anche un allontanamento dai cliché, dalle parole fiacche, dalle azioni banali.  E in questo i bambini, come dice Giuliano Scabia, sono veri maestri.

E poi, quando sento recitare vero un bambino, arriva sempre un senso di commozione incontenibile che pochi spettacoli riescono ancora a trasmettermi.

Cosa è questa commozione se non accogliere in profondità una cosa nuova, mai detta in quel modo, con voci sottili, soavi, confuse, masticate ma dette con solenne serietà, parole che arrivano con il fiato giusto.

Infine una nota sulla scrittura che Beatrice ha saputo raccogliere perfettamente. Non è vero che i bambini amano solo le cose facili, zuccherose. I bambini sanno cogliere, se ascoltati bene, quella cosa minuscola, in fondo in fondo, invisibile dietro ad un concetto a cui magari noi adulti non facciamo caso. Perché spesso non succede? A scuola o anche in famiglia coltiviamo il seminato perché è più facile. Andare a raccogliere una cosa in mezzo a un rovo è molto faticoso, a volte pericoloso ma è lì che spesso troviamo l’inaspettato, il non atteso. Ecco perché lavorare seriamente per l’infanzia è mettere in crisi le certezze.

Quale autore sublime, infine, avrebbe potuto scrivere frasi come:

Una brava maestra si fa capire. È gentile. Paziente. Intelligente.

Una brava maestra è forte e quando ti spiega le cose ti dice che se stai attento in classe, poi a casa fai la metà del lavoro. Una brava maestra ti dice è giusto parlare ai piccoli delle cose importanti, perché quando sei un bambino sei come un alberello da innaffiare. E non c’è niente che tu non possa capire. Io sono stata innaffiata dalle mie maestre, anche se non sono cresciuta troppo. In prima mi prendevano in giro perché ero piccolina e io ci rimanevo male. Poi ho capito che è una mia caratteristica e non ci faccio più caso. Sono del sud, e lì non è che sono tanto più alti.

La maestra non piange mai. Anche se è sempre indietro col programma. Penso soprattutto quando fa storia che ci fa stare nel passato tante ore di fila. Poi va a finire che non capiamo più il futuro. Soprattutto quello anteriore. Che è un tempo che si usa solo a scuola, nella vita non lo si usa mai. Eil futuro più avanti di tutti. Io sarò andato al Luna Park. Ma a che cavolo serve? Chi è stato quel genio che ha inventato il futuro anteriore?

La mia più grande passione sono le matite con i campanellini che suonano per davvero e sono molto divertenti. Le faccio suonare quando mi annoio. O quando la maestra spiega delle cose troppo difficili. Come i tempi dei verbi che sono il mio incubo. Il trapassato remoto, che si usa quando una cosa è successa tanto, tanto, tempo fa. Io ebbi mangiato. Tu avesti mangiato. Lui ebbe mangiato. Un incubo. Perfino la mia maestra ha detto che in 45 anni di vita non l’ha mai usato il trapassato remoto. Molto meglio il presente. Io sono qui. Tu sei lì.

È facile, no? Io userei sempre il presente. Anche per il futuro.

La mia classe è divisa in due: da una parte c’è la gang dei Rolex, che è una marca di orologi costosi. Dall’altra ci sono quelli senza Rolex. La gang dei Rolex passa il tempo a non fare quello che dicono le maestre, l’altra parte invece fa tutto quello che dicono le maestre.

Io sto in mezzo. Mi si riconosce perché ho le guance paffute e porto sempre scarpe da ginnastica basse. Eccomi qui, proprio al centro.

Vorrei allungare il programma di storia fino al liceo, per fare le due guerre mondiali.

Vorrei dire alla maestra di musica che sarebbe interessante che ci insegnasse qualcosa sul liuto.

Invece il massimo che posso fare è mettere su i Rolling Stones o i Beatles per farli ascoltare ai miei compagni e ricordare le imprese di Alessandro Magno che provò a unire tutti i popoli insieme sotto un’unica lingua.

Basta fare maschi contro femmine! Mischiamoci.

Come abbiamo fatto con gli dei dell’antichità che li confondiamo tutti perché stanno in sole due pagine di libro. Quelli degli Egizi, quelli dei Romani e quelli dei Greci. Facciamo una confusione e alla fine l’unica cosa che ci ricordiamo è che Zeus è uguale a Giove.

Ecco perché la commozione arriva improvvisa sull’orlo delle cose, su quella piega nascosta, cucita che nasconde spesso i segreti più belli.

Vorrei ringraziare Alice Boccoli, Vittoria Campari, Riccardo Curci Medioli, Rocco Danani, Camilla D’Aniello, Mattia Panico.

Li porterò sempre nel mio cuore, anzi nel mio orlo.

Alessandra Belledi