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Tra scuola e teatro, un segreto da non svelare

L’intervento di Agnese Doria sul rapporto tra scuola e teatro in occasione dell’incontro online organizzato da UNIMA Italia e Assistej Italia solleva alcune importanti riflessioni sul presente.

Il 20 marzo 2021 si è tenuto online, in occasione della Giornata Mondiale della Marionetta e della Giornata Mondiale del Teatro Ragazzi, un incontro dal titolo Intrecci – per una storia condivisa tra teatro ragazzi e teatro di figura, organizzato dalle associazioni UNIMA Italia e Assistej Italia. Molti sono stati i nodi tematici affrontati, gli sguardi e le proposte: identità artistica, definizioni, innovazioni e sperimentazioni, luoghi e occasioni d’incontro, relazione con il pubblico e rapporti con le istituzioni. In questa sede desideriamo riportare l’intervento di Agnese Doria, critica teatrale, fondatrice di Altre Velocità, che da anni si occupa di percorsi sul teatro e sulla pratica di visione per giovani spettatori e spettatrici di ogni ordine e grado. Le suggestioni proposte da Agnese Doria, in questo difficile momento, in cui scuola e teatro sono attraversati da un solco profondo, ci sembrano un ottimo spunto per ripartire da alcune domande essenziali che è giusto, doveroso, porsi come adulti che ora hanno il delicato compito di ritrovare una relazione differente con le nuove generazioni.
Agnese Doria si chiede, ci chiede, se siamo in grado “di abbandonare una logica educativa finalizzata e in che modo il teatro può essere uno strumento utile a questo?”.

CHE FAMIGLIE TORNERANNO A TEATRO DOMANI?
Proverò a dire qualcosa attorno alle domande che mi sono state poste, che sono enormi ma con le quali è giusto provare a fare i conti. Ammetto di aver riscritto questo intervento perché mi pareva che tanti pensieri andassero ricalibrati, oggi, alla luce di tutto ciò che stiamo vivendo.
Ora procederò molto rapidamente e questo ha degli evidenti limiti nell’articolare un discorso necessariamente complesso. In estrema sintesi le famiglie che torneranno a teatro domani, i docenti che porteranno i bambini a teatro, saranno le stesse famiglie e gli stessi adulti che si sono confrontati con la comparsa di nuove parole, nuovi modi di stare insieme, famiglie che si sono confrontate con limiti, fatiche…
Alla luce di ciò quali mai potrebbero essere i requisiti che questi nuovi adulti dovrebbero avere quando scelgono di portare i bambini a teatro? Mi è tornato in mente un vecchio articolo del maestro Franco Lorenzoni che parlava della competenza del fringuello picchio delle Galapagos.

COME IL FRINGUELLO DELLE GALAPAGOS
Ecco che subito me lo riciclo: un adulto che accompagna un giovane o giovanissimo a teatro dovrebbe avere le stesse competenze del fringuello picchio delle Galapagos, un piccolo uccello che non si spaventa di fronte agli aculei del cactus.
Al contrario, li stacca col becco e li trasforma in un efficace strumento per procacciarsi cibo.
Se lo spettacolo si presenta come un cactus, e nella migliore delle ipotesi si presenta con una sua complessità, l’aculeo, la chiave d’accesso, va trovata insieme – adulto e bambino. È e non è tanto una ipotetica preparazione precedente, quanto un esercizio di dialettica, lì dove il suffisso dia segna una contrapposizione, segnala la distanza tra due o più opinioni, perché non si dialoga con chi è d’accordo con noi, con chi è d’accordo si conviene.
Mettendo a confronto opinioni diverse o opposte, si cerca una strada insieme facendo esercizio di pensiero, faticoso, nel quale l’adulto dovrebbe invitare a mettere in campo i tanti punti di vista sulle cose che la scena offre.
Si tratta di non andare a ridurre l’inquietudine della domanda che dalla scena ci viene posta (sempre che dalla scena la domanda ci sia).

CONDIVIDERE L’ACULEO DEL CACTUS
Quelli che verranno saranno anni d’inverno, anni duri durissimi. Anni d’inverno per dirla con le parole che Bifo usa all’inizio del suo libro su Felix Guattarì in cui esordisce dicendo che “gli anni d’inverno sono quelli in cui si dissolve la condivisione”.
Ecco di cosa ci sarà bisogno quando parliamo di un adulto che accompagna un bambino e una bambina a teatro: non perdere la possibilità di fare esperienza insieme, la possibilità di una condivisione reale (al di là dei ruoli e della differenza anagrafica) anche se si condivide l’aculeo del cactus.
Il maggior rischio che posso intravvedere dopo il trauma collettivo che stiamo vivendo, sarebbe quello di scegliere per i propri figli, titoli semplici, rassicuranti, armonici. Il teatro può essere l’occasione per una famiglia di affrontare una rielaborazione di ciò che abbiamo vissuto senza estinguerne la portata, senza depotenziarla, senza svilire l’accaduto. Il teatro ragazzi può, e forse anche un po’ deve, svolgere questo ruolo se è capace di non farsi semplice portatore, semplice raddoppiamento di quelli che sono già i discorsi educativi esistenti nella famiglia e nella scuola, offrendo una sponda di alterità… Alterità dialogica.

CONCEDETEVI IL LUSSO DELL’ABBANDONO AL TEATRO
Dopo quello che abbiamo vissuto inoltre desidererei davvero che gli adulti ponessero i bambini al centro. Fino a ieri pareva uno slogan, poi abbiamo assistito a quello che c’è stato. Gli adulti, forse male, in maniera zoppa, frustrati, perdendo i pezzi, in questo anno hanno cercato di tenere botta. A loro rivolgo un augurio: quello di concedersi il lusso, la possibilità dell’abbandono, di fronte all’esperienza estetica del teatro. Ovvero abbandonarsi alla trasformazione. Noi adulti dobbiamo valorizzare e mantenere viva la nostra possibilità trasformativa e mutante.
Il teatro potrebbe essere uno strumento trasformativo utile a noi adulti per metterci realmente in relazione con l’infanzia.

IL SEGRETO, FONDAMENTO DIVINO DELLA BELLEZZA
Per finire e vado a concludere.
Oggi che le scuole sono chiuse e in cui, se non l’avessimo capita prima, ci è stata ribadita la nostra inessenzialità, io rivendicherei l’inutilità cioè mi piacerebbe che un insegnante, un docente, un maestro assumessero e accettassero l’identità più profonda della scuola e del teatro partendo dall’etimo: se teatro è luogo della visione e della meraviglia, la scuola è il luogo dell’ozio.
Oggi, in cui i lavoratori sono stati categorizzati come lavoratori essenziali o non essenziali, siamo in grado di abbandonare una logica educativa finalizzata? E in che modo il teatro può essere uno strumento utile a questo? La scuola riesce ad assumersi ciò che Benjamin definisce il segreto che è il fondamento divino della bellezza? La scuola riesce a parlare di quel segreto senza svelarlo? Senza doverlo capire? La bellezza ci pone difronte a una straordinaria omertà che è la materia prima del pensiero critico e che va affrontata con gli strumenti del dialogo e dell’ascolto.